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PERSONAGGI, PALAZZI, VILLE E CASE DEL CENTRO STORICO PALAZZO MAGGI – oggi Tacconi – Fiorini Questa notevole villa, proprietà dei Maggi sicuramente dal 1700, fu abitata prima dal dott. Antonio Maggi, al quale dobbiamo riconoscenza per aver donato alla nostra chiesa parrocchiale l'altare maggiore nel 1813, l'aveva comprato dal Demanio dello Stato, era proveniente dalla chiesa di S. Donato alla Colomba in Verona, fatta demolire da Napoleone nel 1806. Altro personaggio di spicco era il maestro di casa Maggi il dott. Bisatti, che oltre ad occuparsi dell'istruzione e degli interessi dei Signori fu nominato sovrintendente agli affari economici durante la costruzione della chiesa, inoltre fece dipingere da Giovanni Caliari la Pala di S. Luigi, pagandola 12 napoleoni. Successivamente il palazzo fu abitato dal figlio prof. Pietro Maggi (1809 – 1854), astronomo e docente all'Università di Padova, e dalla famiglia. LE SCUOLE ELEMENTARI Le scuole “comunali” furono costruite nel 1884 nel brolo di palazzo Maggi. Salendo una breve scaletta si giungeva alle due ampie aule con pavimento in legno. Sotto era stato ricavato un vano alto circa un metro che serviva come deposito della legna per la stufa. Sul retro del fabbricato c'era il cortile per la ricreazione. GEPE – Ossia Giuseppe Turrini. Dove ora c'è il negozio di frutta e verdura abitavano i pasticceri di Palazzolo. Gianin Campana e Gepe. Gianin produceva un particolare biscotto chiamato “pearin”. Era un biscotto secco con sopra una glassa di zucchero e una buona dose di pepe che lo rendeva particolarmente piccante. Con una cassetta con all'interno “pearini” e noccioline girava per le osterie per vendere i suoi prodotti, la domenica sera li vendeva nella piazzola della chiesa perché là si proiettava il cinema all'aperto. Gepe un piccolo omino, amico dei bambini, vendeva gelati d'estate e paste d'inverno. I gelati li produceva in proprio. Aveva una mastella di legno nella quale per mezzo di una macchinetta girava un barattolo con gli ingredienti per il gelato. La macchinetta veniva mossa da una manovella, alla quale si davano il cambio tre o quattro bambini. Quando gli ingredienti erano amalgamati, il ghiaccio faceva la sua parte. Il compenso per i piccoli “lavoratori” consisteva nel raccogliere con una spatola il gelato rimasto nel contenitore dopo il travaso. I gelati e le paste fatte di torta margherita farcite con crema e alchermes, costavano 20 centesimi nei primi ‘900 e 3 o 5 lire negli anni ‘50. PALAZZO FABRINO Ora eredi Scattolini Elpidio Del personaggio Fabrino non si hanno molte notizie, il suo nome fu trovato scritto negli archivi storici della parrocchia per lasciti fatti alla chiesa per la celebrazione di S. Messe in suffragio dei suoi defunti. Sulla facciata del palazzo si intravedeva fino al momento del restauro uno stemma gentilizio, potrebbe essere stato un personaggio di spicco in quanto la via ora Girelli Cav. Antonio, un tempo si chiamava via Fabrino. La sua proprietà, all'interno di un brolo, si estendeva fino all'”introl” e all'attuale proprietà Ambrosi, parte del muro di cinta è ancora visibile, all'esterno del quale c'era un pozzo, chiamato “'l posso de Fabrin” ora presso la canonica. IL BANCHETTO DEI DOLCI All'Inizio di via Girelli, alla domenica pomeriggio dopo i Vespri, veniva allestito un banchetto per la vendita di dolciumi, che i ragazzini appena usciti dalle Funzioni prendevano d'assalto. Compravano castagnaccio, moretti, disoccupati, liquirizia e limone, stringhe, “ruele” e d'estate anche i gelati. LA SCALETTA Davanti a Casa Foroni, fino agli anni '60, c'era una scaletta, ora sostituita da un poggiolo chiuso. La scaletta aveva ampi gradini in selciato ed era protetta da un muro abbastanza largo, sopra il quale c'erano delle lastre di pietra, divenute nel tempo molto lucide, perché i bambini che scendevano dalle scuole di via Castello vi si sedevano e scivolavano fino in fondo. Al termine di questa scaletta c'era il negozio di generi alimentari e generi vari di Iseo Tacconi. Subito dopo “la palto”, dove oltre alle Alfa e alle Nazionali si comprava anche il Chinino di Stato, una piccola pastiglietta rossa, amarissima, contro la febbre. IL TRIBUNALE Palazzo, ora privato, che per la sua disposizione con locali accessibili da corridoi, potrebbe essere stato sede di Tribunale. Su una targa incisa a mano, ora rimossa dopo lavori di restauro, posta all'inizio della traversa di via IV Novembre c'era la scritta vicolo Tribunale. ANICETO E “PILIO” Di fronte a Gepe abitava Aniceto Scattolini e il figlio Elpidio “Pilio”, i quali vantavano il brevetto di una valvola premiato alla Fiera di Verona. Si trattava di una membrana che permetteva il funzionamento della pompa a spalla per irrorare le viti. IL POZZO DELLA “BUTINA” In via IV Novembre di fronte alle vecchie scuole elementari c'era un grande pozzo, chiamato “'l posso dela butina”, perché “butina” era chiamata in famiglia la signora che vi abitava vicino, dato che era la più giovane dei fratelli Fasoli “pastori”. Era un pozzo molto grande e forniva acqua agli abitanti dei dintorni. L'acquedotto comunale porterà l'acqua nelle case solamente alla fine degli anni '50. LA MACELLERIA DEL “CHILE BECAR” Sempre nella piazzetta del “posso dela butina, c'era la macelleria del “ Chile Becar” Achille Manzati, con quei drappi bianchi appesi come insegna ai lati della porta d'ingresso. La domenica mattina dopo la prima S. Messa delle 5,30, le donne si fermavano a comperare la carne per fare il brodo “racomandandoghe al Chile che ‘l ghe le desse tendra e che la fesse operassion” (che la carne fosse tenera e che una volta lessata si potesse tagliare bene a fette). Nel cortile retrostante la macelleria sorse il primo calzaturificio di Palazzolo, ora Stilman. PALAZZO DEL MARCHESE FUMANELLI La famiglia dei Marchesi Fumanelli sembra abbia origine dalla Valpolicella, probabilmente da Fumane, dove ancora ha dei possedimenti. Della presenza dei Fumanelli, già annoverati tra i nobili veronesi, si trova documentazione certa fin dal 1500. A Caselle di Tarmassia, di Isola della Scala, fecero erigere la chiesa parrocchiale e fecero scavare la condotta d'acqua per alimentare le risaie e far funzionare una pila da riso. Nel 1562 la famiglia fu aggregata al Nobile Consiglio di Verona e ricoprirono le più importanti cariche Municipali. Inoltre diede lustro al Veronese Collegio dei Medici. Il loro motto è “POST FUMUM FLAMMA” (DOPO IL FUMO LA FIAMMA). Particolari sulla permanenza dei Marchesi a Palazzolo non se ne conoscono. Nella seconda metà del 1800 il palazzo e una parte del monte retrostante, fu acquistato dal sig. Angelo Ventura, nonno di Dario, ambulante di generi alimentari proveniente dalle Caselle, al tempo una borgata che non dava da vivere. Il sig. Angelo scelse di stabilirsi a Palazzolo e di aprirvi un negozio fisso perché a suo avviso “ghera tanti siori” e perciò poteva rendere bene. Nel 1920 il palazzo fu venduto alla famiglia del sig. Giuseppe Tacconi “Bepi de Palmarino” la quale lo destinò ad albergo e trattoria denominandolo “Alloggio e Stallo all'Aurora”. Al piano terra c'era l'osteria e la trattoria con una sala dove si tenevano i banchetti di nozze, e per ogni ricorrenza. Da lui si potevano affittare piatti, bicchieri e posate, nel caso il pranzo di nozze venisse preparato nella casa degli sposi. Nell'osteria c'era la ricevitoria del Totocalcio, il telefono pubblico, il tavolo da biliardo e il lunedì del mese stabilito un esattore riscuoteva il “previal” (le tasse). All'esterno il campo per il gioco delle bocce, la Pesa Pubblica , il distributore di benzina e l'officina meccanica del sig. Righetti. PALAZZO VENTURA Da una mappa del Catasto Austriaco del 1860 risulta che all'epoca il palazzo esisteva, mentre da una Topografia di Palazzolo del 1793, non era ancora stato costruito, perciò lo possiamo collocare entro tali date. Luigi Ventura “Casela”, (soprannome con il quale era chiamato il padre Angelo venuto ad abitare a Palazzolo proveniente dalle Caselle) acquistò il palazzo e la quasi totalità del brolo nel 1920. Nei locali al piano terra gestì un buon negozio di generi alimentari, condotto successivamente dal figlio Dario e dalla moglie Carla fino al 1993. Dal cancello in ferro che introduceva in giardino iniziava il muro di cinta del “brol de Casela”, denominato broletto del Prà della Pezza fino alla fine del 1700, che delimitava, con il muro di fronte del brolo Fumanelli- Tacconi, una piccola strada, l'inizio di via Cavecchie. All'angolo tra via Ghiaia e via Cavecchie c'era la fontana comunale, dalla quale attingevano l'acqua le famiglie del vicinato. TAMBURELLO Il paese di Palazzolo ha sempre vantato dei bravi giocatori di tamburello, quelle che mancavano erano le strutture per gli allenamenti. Cosa c'era di meglio che mettersi lungo via IV Novembre. Dopo la Messa della domenica i giovani giocatori schierati tra “la palto e Casela” gridavano “bala che vegna”. La discesa di via IV novembre era la pista ideale anche per le gare con i carrettini e se il guidatore perdeva il controllo e non riusciva a frenare e tenere la strada, ci pensava “'l cancel de Casela”. OSTARIA DE CANOSSA L'osteria “de Canossa” aveva annesso anche un negozio di generi alimentari dove si poteva comprare da “scopeton soto oio”, venduto sfuso a etti e “'ncartà nela carta oliata”, agli zoccoli, alle scope, alle damigiane, ai “buei par far su ‘l porco, e se te comprae i buei ‘l te ‘mprestaa la machina par far i saladi”. Nella porta accanto, un altro negozio di generi alimentari gestito dalla “Mora Sinfrota” Maria Pietropoli. Un piccolo locale, piuttosto buio, con una grande bilancia appesa al soffitto, i cassettoni che contenevano lo zucchero, che alla vendita veniva incartato nella famosa carta da zucchero, la polenta e la farina e sul banco di legno scuro, un gran barattolo di latta conteneva la “Nutella”che si comprava a peso, non in vasetti. PALAZZO PALAZZOLI Il palazzo Palazzoli, ora Scattolini, era circondato dal muro del brolo che dalla chiesetta di S. Antonio di Padova andava alla loc. Olmo, poi fino al vaio di S. Giustina, per poi proseguire per via Cavecchie ed infine in via Ghiaia si ricongiungeva all'ingresso del parco del Palazzo. Le varie corti ora proprietà Armani, Rizzi, Manzati, Olioso facevano parte del complesso Palazzoli. L'accesso al parco era consentito attraverso un cancello per le carrozze e per i pedoni c'era una porticina in legno. Al centro della facciata un grande portone immetteva in un androne con uscita sul retro. Nell'androne correva tutto intorno un poggiolo in legno al quale i signori si affacciavano per ricevere gli ospiti che scendevano dalle carrozze, inoltre serviva per collegare le due parti del palazzo. Al primo piano abitavano i sigg. Palazzoli, proprietari di questo imponente palazzo, che risulta essere il più antico e più grande del paese. Il cognome Palazzoli è di origine molto antica, dai tempi di Teodorico Re degli Ostrogoti (454-526), chi abitava a corte assumeva il titolo quasi nobiliare di De Palatio, ossia famiglia del palazzo reale, da cui deriva il cognome Palazzoli. Nel giardino del palazzo, il Canonico Marchese Alessandro Spolverini, nel 1600 fece erigere la chiesetta dedicata a S. Antonio di Padova. Potrebbe essere stato il dono di nozze del Canonico per il matrimonio di Paolina Palazzoli con Ottavio Spolverini. Nell'archivio storico della parrocchia sono conservati documenti di lasciti alla chiesa da parte di Paolina Palazzoli per la celebrazione di S. Messe di suffragio per il defunto Ottavio Spolverini. I Signori Palazzoli si trasferirono definitivamente da Palazzolo a S. Giovanni Lupatoto agli inzi del 1900. Durante la prima guerra mondiale il palazzo veniva chiamato “'l Casermon”, perché era adibito a carcere di guerra. I reclusi durante il giorno venivano portati sul monte di S. Giustina per scavare le trincee, una è ancora visibile in parte a fianco del cucuzzolo sopra il quale è posta una croce. Una volta evacuati i carcerati il palazzo fu occupato dagli Arditi, i quali sempre a S. Giustina si esercitavano nei lanci delle bombe a mano. Fu raccogliendo una bomba inesplosa che il bambino Fasoli Basilio per lo scoppio divenne cieco. Durante la seconda guerra mondiale fu sede di una officina per la riparazione di mezzi militari tedeschi. Uno dei resti di officina è il cannone da guardia coste, antiaereo, che si trova sul monumento davanti alla chiesa. Terminata la seconda guerra mondiale il palazzo ritornò ad essere luogo di abitazione per una decina di famiglie che dopo la guerra erano rimaste senza casa. Era chiamato “'l Palasso”. Anche in via Ghiaia, e precisamente all'altezza dell'ingresso di villa Palazzoli, c'era un grande pozzo che fino all'evento delle fontane comunali, serviva la zona di acqua. LA VIA GATTA Questa via era un tempo luogo di richiamo anche in momenti in cui non vi era nulla di speciale. Era abitata da 4/5 famiglie, se si sentiva cantare era in Gatta, se si voleva l'acqua fresca si attingeva dal pozzo che stava all'angolo dell'incrocio della Gatta, quattro chiacchiere si scambiavano in Gatta. In un piccolo spiazzo chiamato “la petorina dei Ferrari”, c'erano quattro gelsi e un muretto circondava il terreno, fornendo così uno spazio idoneo per sedersi alle molte persone che nelle sere d'estate si recavano in Gatta. Lì si intonavano canti, e talvolta veniva un'orchestrina formata da chitarre e mandolini per fare le prove. Nella casa d'angolo fin dagli inizi del 1800 abitava il sig. Antonio Manzati e gestiva un'osteria. Sulla facciata della casa aveva fatto dipingere una scritta “Osteria alla Sincerità e alla Pace”, e alcuni paesaggi, sembra rappresentino una località di Cles nel Trentino e l'arco attraverso il quale si passa per recarsi al Santuario di S. Romedio. VIA PRELE La corte della Prele che da il nome alla via è quella dei sigg. Ambrosi. Pare che il nome Prele derivi dal detto “andar ‘n Prele”, cioè andare al frantoio, che potrebbe essere stato nella corte. Proseguendo si giunge alla corte Caorsa, ora Fasoli Dino. Un tempo ci abitava il mezzadro del beneficio della parrocchia. Da questa corte, a Cà Fileno e lungo tutta via Monte Paul si estendeva un brolo di proprietà dei sigg. Zardini, che abitavano alla corte Portegoni, così chiamata per i molti portici, divenuti negli anni '60 sede di laboratori per calzature. CA' FILENO Fileno Spolverini il don Rodrigo locale, per le sue agghiaccianti scorribande tra questo palazzo e quello del Palù sul lago di Garda. Fileno se la prendeva con i poveracci per deriderli, ma anche con i rampolli del suo rango. Si raccontavano alcuni episodi dei quali fu artefice. Per una rivalità in amore, mandò i suoi bravi a Venezia, dalle parti del Canal Grande ad uccidere il Conte Allegri. Un suo parente che rivendicava un credito, inviò un suo ambasciatore a sollecitare il pagamento, il povero uomo che portò la missiva fu costretto da Fileno ad ingoiare alcune manciate di bachi da seta vivi e a tracannare grandi quantità di acqua, stando poi a guardare compiaciuto il malcapitato contorcersi fintantoché morì. Gli piacevano le belle ragazze e, a tal proposito, si racconta che per le sue smanie avesse invitato tutte le belle ragazze dei dintorni ad una gran festa. Il padre di due bellissime gemelle, sapendo come solitamente andava a finire la festa, rinchiuse le ragazze in casa. La domenica successiva per mano dei bravi del Fileno, il padre delle ragazze venne ucciso all'uscita dalla Messa. Voleva per sé anche la prima notte delle spose. Una coppia si ribellò e la bella Teresina, così si chiamava la sposa, invece di recarsi direttamente dal signorotto per l'umiliante pretesa, si recò con il marito ed i parenti al pranzo. Durante il ricevimento gli sposi vennero prelevati dai bravi. La Teresina fu portata da Fileno e il marito, spogliato e cosparso di pece venne rotolato in un mucchio di penne di gallo. Quando lo Spolverini fu in comodo rimandò la Teresina al suo sposo nuda e tutti e due in costume adamitico, sotto un sole cocente e scortati e derisi dai bravi, fecero ritorno a casa. Il Fileno, uomo “molto devoto”, o meglio superstizioso, era solito recarsi a pregare nella chiesetta della Madonna della Neve in Colà due volte alla settimana. Conoscendo le sue abitudini i parenti della Teresina pensarono di vendicarsi e fargli pagare l'affronto. Aspettarono nascosti che lo Spolverini si avvicinasse e al momento giusto uscirono e colpirono a morte un bravo, ne ferirono altri due e leggermente anche il Fileno che denunciò l'aggressione. Gli assalitori furono identificati e dopo un processo sommario furono impiccati in piazza Erbe a Verona. Fileno morì ultraottantenne nel 1729, essendo incappato nelle ire della sorella Sabina decisa a porre fine a tante mostruosità. Lo invitò a Mantova dove essa abitava, organizzò un agguato che colse lui e i suoi bravi di sorpresa durante la strada, fu ucciso e buttato nelle acque della Rabbiosa. Si dice che in questo palazzo ci fosse un pozzo con le spade. Sulla facciata della casa, c'è una meridiana alquanto strana perché indica le 24 ore, cioè anche quelle notturne. Durante i recenti restauri sono emersi degli affreschi della fine 1600. Sotto il porticato c'è una lapide collocata nel 1709, nella quale si legge che in tale data a causa del gelo morirono gli olivi, il Fileno consiglia di non sradicare le piante nel caso succedesse nuovamente, ma attendere, perché spunteranno nuovi germogli. Sempre sotto lo stesso porticato, racchiusa in un'aureola si nota una mano benedicente. Il portone è sormontato da un poggiolo che dà sulla strada, salendo sul quale si può vedere all'esterno del palazzo e anche all'interno del cortile. IL CAPITELLO DELLA MADONNINA Percorrere questo tratto di strada, era detto “nar su o zo dala Madonina”. Gli abitanti di Palazzolo avevano “dedicato” alla Madonnina una parte di via Girelli. Dall'asilo a Cà Fileno, e viceversa. Il capitello in origine era sistemato diversamente e la nicchia racchiudeva una statua lignea di Maria Ausiliatrice, di pregevole fattura, datata 1700, che fu rubata. L'immagine della Madonna fu sostituita da un quadro, ma non era più lo stesso capitello. Poi si aggiunse il fatto che era necessario demolire la struttura per procedere all'edificazione delle attuali abitazioni. La demolizione venne autorizzata con il vincolo di una ricostruzione fedele del manufatto, ma il risultato fu deludente. Successivamente grazie all'interessamento dei fratelli Igino ed Augusto Ambrosi il capitello ritornò al suo antico splendore restaurato fedelmente, compresi il cancellato e la lapide, originali. Don Giancarlo Brunelli lo inaugurò nel maggio del 1982, alla presenza di molte persone. CASA CLOTILDE Chiamata così perché fu un lascito della sig. Clotilde Fiorini alla parrocchia. Vi abitarono le suore fino alla costruzione del nuovo asilo. LA CASA DEL CURATO – DON AUGUSTO CORSI In via Cav. Girelli, un tempo via Fabrino, c'era la casa del Curato e precisamente dove ora c'è il giardino antistante la scuola materna. Un grande portone con baluardo immetteva nel cortile della casa molto curata e al tempo già con pavimenti in ceramica. Lì abitava don Augusto Corsi, curato a Palazzolo dal 1911. Fu chiamato alle armi nel 1915 e assegnato all'ospedale di Peschiera del Garda come inserviente ai più umili lavori, veniva anche schernito e burlato e a causa di uno scherzo fattogli da un collega di lavoro che lo spinse in pieno inverno nella fossa che raccoglieva le acque di fognatura, don Augusto si ammalò di tubercolosi. Venne congedato e rimandato a Palazzolo con la speranza che la posizione salubre potesse risanarlo. Pur nella malattia si dedicò al servizio in parrocchia e all'insegnamento ai giovani nelle scuole di via IV Novembre. Comperò anche rudimentali macchinari per proiettare film e durante la prima guerra mondiale tenne rapporti epistolari tra i soldati e le famiglie. Dobbiamo a Lui la costruzione del Monumento ai Caduti. Scrisse alcune Odi che dedicò ai Caduti, ai Reduci e a Palazzolo. La malattia lo portò alla morte in giovane età, aveva solo quarantatre anni quando il 5 gennaio 1926, spirò nella sua casa. CASA DEL LONGO Ora proprietà Girardi. Fino ai primi anni del 1900 e precisamente tra il ‘15 e il ‘18, in questo palazzo abitava il sig. Attilio Longo, figlio del dott. Ilario. L'originalità di questo personaggio consisteva nel fatto che sperperava molto denaro, specialmente in presenza di povera gente. Era solito accendersi il sigaro con una carta da dieci lire, corrispondente alla paga di 6/7 giorni di lavoro. Un'altra stranezza era quella di far accovacciare un suo contadino sotto il tavolo, il quale doveva, a seconda della richiesta, miagolare o abbaiare, in cambio riceveva una coscia di pollo. Quando scoppiò la prima guerra mondiale, si impegnò a versare 100 lire al giorno alla Patria, pensando che il conflitto fosse di breve durata. Con il passare del tempo non poté più far fronte all'impegno e dovette vendere tutto e di lui non si seppe più nulla. Sulla facciata della casa è ancora visibile uno stemma gentilizio con scolpiti due fioretti intrecciati. INTROL Attraverso questa via, ora denominata via degli Alpini, si giungeva a palazzo Schizzi. IL PALAZZO DEI CONTI SCHIZZI Il palazzo dei conti Schizzi, ora Fiorini, offre alla piazza un nobile sfondo. Risale ai primi ritorni del classicismo, anche se il palazzo è robusto e con corrette geometrie in uso nel tardo rinascimento. La facciata principale presenta dei dipinti, tra cui quattro stemmi gentilizi, uno dei conti Schizzi. Ha forti aperture incorniciate da marmi ed un massiccio portale con arco e pilastri bugnati e zoccolatura evidente. Dall'ingresso si estende una sala conviviale con affreschi agresti e caratteristici sfondi di territorio veronese. Il giardino sul lato est è pensile ed è ornato di piante rare. Sotto il giardino c'è una cantina alla quale si accede sia dal palazzo che dal brolo. Si fa memoria del conte Lodovico Schizzi, che abitò il palazzo nel 1700. Il conte donò molte opere d'arte alla nostra chiesa tra le quali i due quadri che rappresentano l'Adorazione della Nascita di Gesù e la Circoncisione, nel 1826 il 14 di gennaio fece ancora dono della grande Pala che sovrasta l'altare maggiore della parrocchiale, che rappresenta la Madonna con il Bambino e i Santi Giuseppe, Gioacchino, Anna e S. Filippo Neri. Il dipinto proveniva da un monastero di Cremona. Il conte Folchino Schizzi proprietario del palazzo nel 1800, oltre che del feudo di Casteldidone nel Cremonese, già proprietà degli Schizzi dal 1288, donò alla nostra chiesa il dipinto del Franceschini raffigurante Agar e l'Angelo, datato 1600, la reliquia della S. Croce in teca d'argento, contribuì con cento talleri per l'installazione dell'organo di Damiani e fece restaurare e arredare di banchi l'Oratorio di S. Giovanni, ora Sala “Noi”. Folchino si dilettava nella recitazione e gestiva un teatro privato frequentato anche da artisti famosi. D'estate gli spettacoli si tenevano in giardino sotto lo sguardo dei busti di Goldoni e Alfieri. Scrisse personalmente le opere che interpretò. La servitù aveva riservate delle strutture abitative che davano su un giardino, al quale si accedeva da un portone laterale. La villa, trovandosi al centro dei campi di battaglie risorgimentali, ospitò i Savoia di passaggio, da Carlo Alberto a Vittorio Emanuele, Eugenio Tommaso, duca di Genova. La villa accolse successivamente Luigi Bonaparte, principe di Moncalieri. Nel periodo della seconda guerra mondiale, quando il palazzo era già di proprietà del sig. Giacinto Fiorini, fu sede di comando tedesco. Anche in questo triste periodo si tenevano nel palazzo e nel giardino degli spettacoli per allietare i comandanti di stanza a Palazzolo. A questi spettacoli potevano assistervi anche le persone del paese. Ed è la signora Rosetta Ambrosi Negri che racconta di questi spettacoli, tutti rigorosamente in tedesco, però quando veniva cantata la canzone Lilly Marlene tedeschi e italiani si univano in un unico coro. Il palco veniva illuminato dai fari di una Fiat “Topolino” posta in prossimità. Lo spettacolo a volte proseguiva a singhiozzo perché quando l'aereo, popolarmente chiamato “Pippo”, sorvolava la zona si dovevano spegnere tutte le luci, lo spettacolo riprendeva non appena il ricognitore si era allontanato. A seguito di cedimenti strutturali durante lavori di restauro si è appurato che esisteva una galleria che dal giardino, attraverso via Girelli (corte Fasoli), si dirigeva verso via Prele, e probabilmente veniva usata per eventuali fughe sicure dei signori. “EL BUSO DEL GATO” E' un vicolo laterale a via Piave. In fondo ad esso è murata una lapide di cm. 60X 20, sulla quale sono scolpite le iniziali F.o – O.i , che stanno per Francesco Oliboni, A IL SUO PASO – 1766. Sicuramente questa pietra fu intagliata e incastonata nel muro di cinta della proprietà per suggellare il diritto di passaggio. CA' GERARD Alcuni cenni storici sulle origini della famiglia Gérard. Il signor Celestino Gérard arrivò in Italia dalla Francia nel periodo napoleonico, agli inizi del 1800. Sposò Antonietta Solari di Tione di Trento e si stabilì a Poggio Mirteto in provincia di Rieti. La signora Antonietta innamorata delle montagne trentine aveva una grande nostalgia per la sua terra, nostalgia che la portò fino alla malattia. Allora Celestino si trasferì con la sua amata sposa a Verona. Ebbe sei figli, Gerardo, Emma, Cornelio e Alberto, sacerdoti fondatori della Congregazione degli Aportiani, Maria e Teresina, religiose, divennero Superiore di due Monasteri nel Ferrarese. Celestino con la famiglia abitò in corso Cavour nel palazzo Cantalupi, ora sede della Banca d'Italia. Si occupò di grandi magazzini vetrari e di porcellane. Il figlio Gerardo sposò in prime nozze Antonietta Carlini ed ebbe due figlie Anna e Sofia, morte con la madre di febbre spagnola. Si risposò con Lina Ruffo ed ebbe cinque figli, Celestino, Maria Antonietta, Gianluigi, Anna Sofia e Cornelia. Si occupò degli interessi del padre e abitò in corso Portoni Borsari nel palazzo Melegatti. I signori Gérard scelsero Palazzolo per la residenza estiva. Abitarono in due ville, una chiamata la “Casa Rossa”, per il suo colore, ora proprietà Giacomelli, e lì avevano dimora i due sacerdoti Cornelio ed Alberto. Annessa alla villa la casa rurale con portici, abitata dai contadini che coltivavano i terreni circostanti fino alla “Rotonda”. Al centro del cortile un pozzo. La seconda villa fu acquistata dai Gérard dal sig. Alexander Fojon detto “da Cà”. La fusione dei nomi dei due proprietari diede origine alla località Cà Gèrard, ora proprietà Marani. Nel giardino fu eretta una chiesetta dedicata a Santa Maria delle Grazie per facilitare i due sacerdoti, ormai anziani, nelle celebrazioni quotidiane, in essa è conservato un prezioso crocifisso che sovrasta l'altare e nella sacrestia alcuni quadri dipinti dai due preti. IL PALAZZO DELLA CANONICA Il palazzo attiguo alla chiesa parrocchiale, dove ora si trova la canonica, fino al 1585 fu una dimora dei Palazzoli nella quale i Signori accoglievano il Vescovo durante la visita pastorale. Nel giardino della villa c'era la chiesetta privata dedicata ai Santi Filippo e Giacomo, l'oratorio divenne l'attuale Parrocchiale tra il 1813 e il 1821. IL MONUMENTO AI CADUTI Cippo marmoreo a ricordo dei Caduti delle due grandi guerre. Fortemente voluto da don Corsi proprio davanti alla chiesa. Fu finanziato dalle famiglie di Palazzolo e dal curato stesso, chi non poté contribuire con denaro prestò opera di muratore o manovale. Venne inaugurato una domenica di agosto e precisamente il 3 agosto 1919. La sua struttura è costituita da una colonna spezzata che poggia su di un piedistallo di forma ottagonale, sul quale sono scolpiti i nomi dei soldati di Palazzolo caduti e dispersi. Su di un lato vi è scolpito anche il nome di don Augusto Corsi, grazie a Lui se il nostro paese può vantare di essere stato il primo in Italia ad erigere un Monumento ai Caduti. LA TORRE CAMPANARIA E IL CASTELLO La torre ha aperture a bifore e fu in epoca scaligera, torre da guardia. E' merlata ed è alta 17 metri con muri spessi un metro. Nei lati Sud ed Ovest sono posti due orologi. Ci sono tracce di un leone marciano affrescato. Potrebbe essere stata collegata al Castello. Il Castello ora proprietà Manzati, ha all'interno una stanza con degli affreschi settecenteschi di scene agresti. Un bel giardino all'italiana con al centro un pozzo fa da cornice al palazzo. Non si conosce chi lo abbia abitato in tempi antichi, si ha notizia che dagli inizi del 1900 fino al 1920 vi abitarono le signore Pastrovic, russe, chiamate popolarmente le signore Pastrocci, che avevano una loro tradizione. Il giorno della commemorazione dei Defunti, due novembre, distribuivano qualche centesimo a tutti i bambini fino ai 12 anni che si recavano alla loro porta, anzi loro stesse chiamavano coloro che per vergogna non si presentavano. Ciò per onorare i loro Defunti. Dopo il 1920 fu abitato da Lino Fiori, dalla famiglia di Angelo Bagnara e dalla maestra Maria Ghini. Mariuccia Armani Chiese, Ville, Corti a Sona e nelle sue contrade – di Michele Gragnato - 2003 Cenni storici della Famiglia Gérard, gentilmente raccontati dalla Signora Arreghini Dott. Giovanna Gérard.
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