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GLI "ONI": LA PALUDE DI BARBARAGO. "Barbarago" invece deriva da Barbarigo , nome di vecchi proprietari della zona nonchè di una famiglia veneziana che tra il 1400 e il 1700 ha dato alla storia tre dogi, due cardinali, un santo ed anche il vescovo di Verona dal 1697 al l714, Francesco Barbarigo. Osservando con attenzione questi luoghi, si possono "leggere" molte cose. La palude, oggi di modeste dimensioni ma un tempo certamente molto più grande, esiste perchè fra le colline moreniche formate dall'erosione e dalla spinta dei ghiacciai che scendevano dalle Alpi fino alla grande fossa poi divenuta lago di Garda durante le ultime glaciazioni, si formò anche una piccola valletta, chiusa come un enorme piatto; il suo terreno è impermeabile e l'acqua piovana che vi si raccoglieva traboccava in tempi antichi nel punto più basso del suo bordo; l'acqua defluiva come da una sorgente in un fosso che diventava affluente del vicino progno "Maggi" detto anche "Sèccaro" ma che sulla carta dell'Isituto Geografico Militare è scritto "Progno dei Cappelloni" . Ricordiamo che la zona è conosciuta anche con il nome di "Valle" e qui vicino il professor Maggi nella prima metà dell'Ottocento sperimentò la coltivazione del riso , utilizzando un'altra sorgente non lontana. Si può calcolare che la superficie occupata dall'acqua, formasse un vero laghetto di cinque o sei ettari, poichè si può osservare ancora oggi, verso ovest, il limite del terreno torboso formato dalle piante palustri. Doveva essere un luogo ideale per gli insediamenti degli uomini primitivi che sull'acqua costruivano le palafitte per difendersi dagli animali e dai nemici. In epoca veneziana il laghetto è stato bonificato per ricavare terreno coltivabile con la costruzione di un condotto sotterraneo di scarico delle acque, ancora oggi in funzione.Esso è costruito a volto con muratura in ciottoli, parte in un punto basso della valletta, è lungo circa duecento metri ed alto un metro e conduce le acque in un fosso che conduce nel citato progno. La superficie della palude-laghetto si è così ridotta a circa un ettaro, ma ancora con tre grandi buche dove l'acqua era più profonda. Tanto che in periodi di siccità, prima della costruzione della rete dell'irrigazione a pioggia degli anni '70, si poteva pescare l'acqua con una pompa a motore per irrigare i campi circostanti. Per l'estrazione bisognava prima abbassare il livello dell'acqua pescandola con una pompa a motore e versandola nel condotto interrato oltre la paratoia ancora visibile, poi asportare lo strato superficiale (la "scoperta") quindi la torba con badili, ceste e carriole, quindi stenderla ad asciugare proteggendola con tettoie dalla pioggia; infine si trasportava con carretti e cavalli. Nell'estate del 1943 il sig. Pietro Tacconi (Piero dall'oio) che aveva una bottega al Bosco ed era molto conosciuto nei paesi vicini per la vendita dell'olio di oliva, organizzò un'ulteriore scavo della torba nel frattempo formatasi, per venderla come combustibile. Scavando la torba sono emersi certamente dei reperti archeologici. Da questa palude-torbiera proviene il bellissimo teschio con grandi corna di un Uro (Bos Primigenius), un bovide progenitore dei nostri bovini domestici, ora estinto, che è esposto nella prima sala a destra del Museo di Scienze Naturali di Verona, con la scritta "torbiera di Barbarago"; inoltre sono state trovate corna di cervo e punte di freccia in pietra o selce e una grossa pietra squadrata. Qualche anno fa un appassionato ricercatore di Colà, trovò ai bordi della valletta cocci di muri e tegole ed alcune monete e disse che erano i resti di una villa romana.
Luigi Tacconi
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